USA: ARRESTATI PACIFISTI

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Sette persone sono state arrestate ieri durante una manifestazione, di fronte alla casa Bianca, contro la guerra in Iraq, nella quale hanno partecipato migliaia di persone, nel settimo anniversario del conflitto. Tra gli arrestati c’è anche Cindy Sheehan, madre di uno dei soldati statunitensi morti  in guerra e che è stata uno dei protagonisti più in vista del movimento di protesta contro l’invasione.  I manifestanti si sono concentrati nella piazza Laffayette, dinnanzi alla Casa Bianca, da dove si sono mossi marciando verso il centro della capitale, passando, tra l’altro, davanti alla sede della Halliburton, la multinazionale di servizi petroliferi della quale fu direttore l’ex vicepresidente Dick Cheney. La partecipazione alla manifestazione è stata minore rispetto a quelle del 2006 e 2007, anche se gli organizzatori hanno assicurato che molti manifestanti hanno deciso  di aderire alla protesta dopo la decisione presa dal presidente Barack Obama di inviare più truppe in Afghanistan, anche se ha annunciato il ritiro dall’ Iraq. I manifestanti portavano bare di cartone avvolte nella bandiera statunitense e cartelli dove si chiedeva “processo contro George Bush, (che ordinò l’invasione nel 2003) adesso!”


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KURDISTAN SENZA TREGUA

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Torna sulle prime pagine dei giornali il conflitto kurdo-turco. I 26 (o 24 a seconda delle fonti) militari turchi morti in una serie di attacchi simultanei sferrati dai guerriglieri del PKK contro diversi obiettivi delle forze di sicurezza nella zona di Hakkari hanno fatto gridare a una nuova recrudescenza del conflitto. In realtà la guerra non è mai cessata, le operazioni dell’esercito turco non sono mai diminuite. Anzi, da agosto si susseguono bombardamenti in tutta la zona al confine con Iraq e Iran e spesso e volentieri gli F-16 turchi sono entrati nel Kurdistan iracheno colpendo non tanto o non solo le basi del PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) ma soprattutto villaggi facendo molte vittime civili di cui nessuno parla.

Gli attacchi di ieri hanno suscitato reazioni molto forti, comprensibilmente. A parte il presidente della repubblica, l’islamico Abdullah Gul, che ha promesso “vendetta” e altro sangue, è stato il BDP (Partito della Pace e Democrazia), cioè il partito dei kurdi a fare la prima dichiarazione. “Basta – si legge nel comunicato – con la guerra. E’ tempo che le armi tacciano e si realizzino le condizioni per favorire la pace”. Parole che il BDP va ripetendo da anni ormai. In questo sostenuto dal PKK che (è bene ricordarlo) ha osservato un cessate il fuoco unilaterale fino al 15 giugno di quest’anno. Cioè fino a dopo le elezioni politiche che hanno visto kurdi e sinistra turca eleggere ben 36 deputati al parlamento turco. Quello che è successo dopo questo risultato serve a contestualizzare anche l’attacco di ieri, al quale i turchi hanno risposto con una nuova offensiva aerea in nord Iraq.

Uno dei 36 deputati, Hatip Dicle (in carcere), è stato privato del suo mandato per un ‘reato’ (lui che era già stato deputato con Leyla Zana e aveva già fatto 10 anni di carcere) di natura ‘terroristica’. Cinque deputati sono attualmente in carcere. Al giuramento, dopo un boicottaggio durato tre mesi e mezzo, si sono presentati in 30. Da marzo a oggi sono finiti in carcere qualcosa come ottomila tra amministratori locali kurdi, attivisti per i diritti umani, militanti del BDP con l’accusa di essere in qualche modo legati al PKK. Dal 2009 (anno della vittoria dei kurdi alle amministrative) sono sotto processo oltre quattromila politici kurdi. Dal 27 luglio il presidente del PKK Abdullah Ocalan (in carcere dal 1999 sull’isola di Imrali) non può vedere i suoi avvocati. Un divieto imposto dopo che per mesi uomini del premier Recep Tayyip Erdogan hanno incontrato il leader kurdo per concordare “protocolli di pace” poi gettati nel cassetto.

MANDATO DI CATTURA PER IL CAPO DEL MOSSAD

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