DUE ANNI AD ARNALDO OTEGI
Il Tribunale dell’Audiencia Nacional, presieduto dal giudice Angela Murillo, ha condannato a due anni e 16 di inabilitazione assoluta a Arnaldo Otegi per partecipare, nel luglio del 2005, ad un atto politico per il prigioniero basco Joxe Mari Sagardui “Gatza” che era detenuto da 25 anni. Attualmente “gatza” è il detenuto politico europeo da più anni in carcere. Ne compirà 30 nel luglio di quest’anno. Otegi è stato condannato per ”apologia di terrorismo” avendo pronunciato la seguente frase. “Lo dobbiamo ai prigionieri politici baschi, rifugiati ed ai tanti compagni che ci hanno lasciato nella lotta e lo conseguiremo”. Otegi si trova attualmente in carcere dopo l’arresto avvenuto il 13 ottobre scorso assieme ad altri esponenti della sinistra indipendentista basca. Il giudice Baltazar Garzon accusò Otegi e gli altri, di avere contribuito alla elaborazione della iniziativa della sinistra indipendentista concretizzatasi nella dichiarazione “Zutik Euskal Herria” che propone vie esclusivamente democratiche e politiche per al soluzione del conflitto basco spagnolo.
Il Tribunale della Audiencia Nacional ha censurato Otegi che comparò “in modo improprio e manifestamente falso” a José Mari Sagardui e Nelson Mandela, poiché secondo il tribunale, Mandela era “un prigioniero politico ed un autentico eroe che rimase in carcere per motivi ideologici però mai utilizzò la violenza, ne la appoggiò per abbattere il regime dell’apartheid in Sud Africa” mentre secondo il tribunale Sagardui” è un condannato per gravissimi delitti di carattere terrorista”. Il riferimento del tribunale a Nelson Mandela e del suo rapporto con la lotta armata è falso. Mandela fu uno dei primi leader sudafricani che difese la resistenza armata contro l’apartheid, che ebbe come conseguenza la creazione del braccio armato dell’ ANC, Umkonto we Sizwe (lancia della nazione). Ciononostante Mandela ricordò in più occasioni che la lotta armata deve essere sempre “l’ultima alternativa”. Il Tribunale ricorda che Otegi non smentì, durante il dibattimento processuale la frase pronunciata, anche se sempre nello stesso, pubblico ministero e giudici ammisero di non comprendere, perché pronunciato in euskera, quanto Otegi aveva detto durante l’omaggio al prigioniero politico basco. In quella occasione Otegi riaffermò i principi assunti dalla sinistra indipendentista per l’utilizzo di vie esclusivamente democratiche e politiche ma i giudici non hanno preso in considerazione questo pronunciamento
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I fratelli minori – il nuovo libro di Enrico Palandri
E’ uscito in questi giorni per Bompiani “I fratelli minori”, il nuovo romanzo di Enrico Palandri. Veneziano, Palandri ha lasciato l’Italia nel 1980 e dopo il successo di Boccalone (romanzo di una generazione, quella del ’77 ma anche di quella successiva e un po’ precursore come sostiene qualcuno del concetto di moltitudine negriana). Nei suoi libri come nella sua biografia personale si incrociano ricerca e un lavoro intenso sul sé, sulle relazioni fra persone, sull’andare e venire, sullo stare abbastanza bene ovunque ma mai benissimo in alcun posto. I fratelli minori è un po’ la conclusione di questo percorso di ricerca. Una fine dove trionfano le persone, e soprattutto le persone implicate le une nelle altre. La storia è su due livelli temporali, gli anni ’70 e gli anni 2000. I due fratelli Martha e Julian (un po’ inglesi e un po’ italiani) figli di un famoso cantante d’opera veneziano, scelgono l’una di cambiare identità per evitare il peso del padre (anche Martha vuole cantare opera) e l’altro – il fratello minore – cercherà tutta la vita di ‘evitare’ gli altri. Il ’77 e l’Italia degli anni di piombo entrano nel personaggio di Giovanni (fidanzato di Martha). Ma è il ragionare sull’identità, sull’esilio, sugli altri il cuore del libro. Perché sono le questioni con cui si dibatte Palandri da anni. “Ho iniziato questo libro – dice lo scrittore – diversi anni fa. Mi sono accorto che avevo scritto più o meno con la stessa voce, rivolgendomi a un nucleo di temi abbastanza simili tra di loro fin da un altro mio libro, “Le pietre e il sale. Voglio che il romanzo sia autonomo, – aggiunge – però per me è un po’ la conclusione di un percorso cominciato per me quando sono andato in Inghilterra nel 1980”.
Andare in un luogo diverso ha permesso anche di continuare a ragionare su quanto accaduto nel tuo passato, negli anni ’70.
Sì. I miei sono libri che hanno a che fare con lo spatrio, il fallimento degli anni ’70, il superamento di questo fallimento. Ma non come il superamento proposto in Italia, cioè sostanzialmente con la figura del pentimento e del ravvedimento. Io non mi sono né pentito né ravveduto, io mi sono continuato. Credo che il pentimento sia una brutta figura perché tende a nascondere il percorso che hai fatto, tenta di rinascere non sulla storia ma su un altro piano. E di questo non mi fido. Non che l’altro piano non esista, la metafisica è sempre qualcosa che accompagna ed è parallela. Ma non credo che si possa uscire dalla storia per andare nella metafisica. Per questo il pentimento come pura morale che si oppone a ciò che hanno prodotto le circostanze, le classi sociali, i conflitti, non mi interessa. Purtroppo questa è stata la figura con cui si sono chiusi gli anni ’70. Io penso che noi siamo stati sostanzialmente la prima generazione che usciva da Yalta, non solo in Italia, in Inghilterra e siamo stati bloccati dal compromesso storico, cioè dai custodi di Yalta, il partito comunista e la Democrazia cristiana che erano i custodi dell’accordo siglato nel secondo dopoguerra. Sia da destra che da sinistra hanno visto nei movimenti qualcosa di inaccettabile perché andava da un’altra parte, anche se era la stessa cosa che accadeva in Inghilterra, in Francia, in America. Ma qui è stato tutto legato alla storia del terrorismo che invece era un fatto minore, legato molto alla storia del comunismo e non dei movimenti, in cui si poteva passare dai movimenti ma per disperazione, per sfiducia nella società, nella possibilità di cambiare, di essere nella società. Nel terrorismo c’era proprio quell’atto disperato che ho cercato, nel libro, di rendere nel personaggio di Giovanni. Non voglio dire nulla in generale sul terrorismo, ma ho cercato di avvicinarmi alle motivazioni del fallimento personale, di esposizione alla differenza sociale che è un tema che ricorre un po’ in tutto in libro. Mi è interessato molto analizzare come i personaggi che ho costruito sentono la propria condizione sociale e quella degli altri e come questi cambiamenti di status hanno un effetto profondo nella vita sentimentale, quando pensano di innamorarsi, nei revanscismi, in quello che si trascinano. C’è come una storia sociale privata che è una specie di biografia del singolo.