SDF: Ceasefire agreed on Girê Spî and Serêkaniyê regions

The SDF General Command stated that the ceasefire between the Turkish state and the US encompassed the region between Girê Spî and Serêkaniyê and began at 22 pm on 17 October.
The General Command of the Syrian Democratic Forces statement issued a statement about the ceasefire reached by the Turkish state and the US.
The statement said: “At the request and approval of the SDF and mediated by the United States, represented by Vice President Mike Pence, an immediate ceasefire was reached today (17 October) between the SDF and the Turkish state along the front lines from Serêkaniyê and Girê Spî. The ceasefire began at 10 pm.
The SDF reaffirm their commitment to the declared ceasefire and calls upon the Turkish state to do the same.”
Related Articles
4 Sì, un unico No: la battaglia è appena iniziata
INFOAUT. Il Sì vince in tutti i 4 quesiti referendari. E’ evidente il carattere doppiamente politico del risultato: su un primo livello in quanto dà la misura della rilevanza e importanza delle 4 poste in gioco su cui si era chiamati a votare; un secondo livello che boccia, poche settimane dopo le amministrative, l’operato del governo in carica. I conti dimostrano che la maggioranza assoluta degli italiani e delle italiane non è disposta a trattare su questioni fondamentali come il diritto ai beni comuni primari come l’acqua e la “sicurezza” (quella reale di poter vivere senza il terrore di essere contaminato dalle radiazioni per millenni, non quella sbandierata strumentalmente agendo sulle paure).
Proprio il risultato equivalente delle 4 questioni deve essere letto come bocciatura esplicitamente politica dell’operato del governo, punito alle urne da un parte del proprio stesso elettorato. Segno che c’è una percezione diffusa di un sorpasso del limite e della decenza che non può più essere tollerato. E’ in qualche modo, anche qui, il voto di una cittadinanza “indignata”, per quanto nel nostro paese ancora non disposta a riconquistarsi spazi e modi della politica direttamente nelle piazze, ancora (troppo) fiduciosa nel risultato e peso delle scelte fatte nel segreto delle urne.
THIS SITE
In recent weeks things have changed dramatically in Turkey. The president of the Pkk, Abdullah Ocalan (since 1999 the only
KURDISTAN SENZA TREGUA
Torna sulle prime pagine dei giornali il conflitto kurdo-turco. I 26 (o 24 a seconda delle fonti) militari turchi morti in una serie di attacchi simultanei sferrati dai guerriglieri del PKK contro diversi obiettivi delle forze di sicurezza nella zona di Hakkari hanno fatto gridare a una nuova recrudescenza del conflitto. In realtà la guerra non è mai cessata, le operazioni dell’esercito turco non sono mai diminuite. Anzi, da agosto si susseguono bombardamenti in tutta la zona al confine con Iraq e Iran e spesso e volentieri gli F-16 turchi sono entrati nel Kurdistan iracheno colpendo non tanto o non solo le basi del PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) ma soprattutto villaggi facendo molte vittime civili di cui nessuno parla.
Gli attacchi di ieri hanno suscitato reazioni molto forti, comprensibilmente. A parte il presidente della repubblica, l’islamico Abdullah Gul, che ha promesso “vendetta” e altro sangue, è stato il BDP (Partito della Pace e Democrazia), cioè il partito dei kurdi a fare la prima dichiarazione. “Basta – si legge nel comunicato – con la guerra. E’ tempo che le armi tacciano e si realizzino le condizioni per favorire la pace”. Parole che il BDP va ripetendo da anni ormai. In questo sostenuto dal PKK che (è bene ricordarlo) ha osservato un cessate il fuoco unilaterale fino al 15 giugno di quest’anno. Cioè fino a dopo le elezioni politiche che hanno visto kurdi e sinistra turca eleggere ben 36 deputati al parlamento turco. Quello che è successo dopo questo risultato serve a contestualizzare anche l’attacco di ieri, al quale i turchi hanno risposto con una nuova offensiva aerea in nord Iraq.
Uno dei 36 deputati, Hatip Dicle (in carcere), è stato privato del suo mandato per un ‘reato’ (lui che era già stato deputato con Leyla Zana e aveva già fatto 10 anni di carcere) di natura ‘terroristica’. Cinque deputati sono attualmente in carcere. Al giuramento, dopo un boicottaggio durato tre mesi e mezzo, si sono presentati in 30. Da marzo a oggi sono finiti in carcere qualcosa come ottomila tra amministratori locali kurdi, attivisti per i diritti umani, militanti del BDP con l’accusa di essere in qualche modo legati al PKK. Dal 2009 (anno della vittoria dei kurdi alle amministrative) sono sotto processo oltre quattromila politici kurdi. Dal 27 luglio il presidente del PKK Abdullah Ocalan (in carcere dal 1999 sull’isola di Imrali) non può vedere i suoi avvocati. Un divieto imposto dopo che per mesi uomini del premier Recep Tayyip Erdogan hanno incontrato il leader kurdo per concordare “protocolli di pace” poi gettati nel cassetto.