ARRESTI KURDI IN ITALIA E FRANCIA

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Undici arresti in Italia, quindici in Francia, un centinaio tra indagati e fermati. E’ il bilancio dell’operazione ‘dogum’ (matrimonio) guidata dalla Digos di Venezia che ha coinvolto tutta Italia. Gli arrestati sono dieci kurdi e un italiano. L’accusa è di associazione con finalità di terrorismo (270 bis del codice penale). In Francia la stessa inchiesta ha portato a undici arresti e decine di perquisizioni, a Marsiglia e in altre città.

La decisione di procedere con arresti e perquisizioni è stata accelerata dal fatto che in Toscana, secondo gli inquirenti veneziani, era in corso un campo di addestramento del PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan. Nell’agriturismo colpito dal blitz della polizia sono stati trovati una settantina di giovani kurdi, tra “reclute e reclutatori”, come ha sottolineato il dirigente della Digos veneziana, Diego Parente, provenienti da varie città italiane e europee.

L’inchiesta, hanno detto gli inquirenti, è cominciata nel settembre del 2008 e si è sviluppata seguendo quello che è stato definito “l’anello di collegamento tra Francia e Italia”, un cittadino con passaporto turco con residenza a Venezia e ricercato anche in Francia. Il procuratore capo Vittorio Borraccetti ha sottolineato che “l’indagine riguarda la frangia armata del PKK” e che “la struttura si occupava solo della formazione ideologica per l’indottrinamento. Escludiamo che ci sia stata attività militare in Italia, come è stato fatto probabilmente all’estero”. Il procuratore ha aggiunto che “la prima fase, quella svolta in Italia, si occupava dell’addestramento ideologico dei militanti che in una seconda fase, in altri paesi europei, sarebbero stati formati anche militarmente prima di andare in Turchia”.

Il capo della Digos, Parente, ha spiegato che il “reclutamento dei giovani avveniva al limite del sequestro di persona”, spesso contro la volontà dei genitori dei ragazzi. “Di tre donne – ha aggiunto Parente – abbiamo le prove che sono state reclutate. Una è ora detenuta in Francia, una seconda è stata ritrovata nel campo di addestramento in Toscana”.

Il responsabile della direzione centrale della polizia di prevenzione, Fabio Berrilli, ha spiegato che “questa è la prima indagine del genere in Italia nei confronti di una struttura ramificata in Italia e all’estero facente campo alla frangia armata del PKK”. Berrilli ha aggiunto che “le persone reclutate erano tutti ragazzi giovanissimi. In un campo di addestramento abbiamo trovato un ragazzo di soli 16 anni. Alcuni di loro avevamo problemi famigliari e dalle intercettazioni abbiamo riscontrato che era impedito loro di avere contatti con l’esterno. Ciò indica la difficoltà dell’organizzazione a contattare e a reclutare soggetti già integrati nel tessuto sociale. Il reclutamento avveniva verso persone deboli”.

L’avvocato Arturo Salerni, che difende alcuni degli arrestati, sottolinea la “sproporzione tra i pochissimi elementi che sembrano in mano agli inquirenti e l’operazione con un centinaio di perquisizioni. Non sono state trovate armi – dice – in Toscana c’erano esuli kurdi in un agriturismo, non in un luogo clandestino che discutevano”.

Il PKK è nella lista delle organizzazioni terroristiche europee. E la Turchia non è considerata un paese in guerra (con le stesse accuse degli 11 arrestati ieri, un anno fa sono stati assolti sei cittadini marocchini: reclutavano e addestravano militanti da mandare in Iraq, riconosciuto paese in guerra). Il PKK sta osservando un cessate il fuoco unilaterale dal marzo 2009. Una scelta presa per favorire condizioni in cui possa maturare un dialogo con Ankara per arrivare a una soluzione negoziata del conflitto cominciato nel 1984.


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Carlo Sommaruga
Consigliere nazionale svizzero,membro di una delegazione internazionale di osservatori
“Gigantesco processo politico contro il popolo kurdo”
Le Courrier, 21 ottobre 2010

Dal 18 ottobre 2010 a Diyarbakir in Turchia 151 donne ed uomini si trovano al banco d’accusa di una gigantesca, lussouosa e risplendente nuova sala di udienza di un palazzo di giustizia di provincia particolarmente sfasciato. Sono degli amministratori locali eletti ed in carica, come Osman Baydemir, il popolarissimo sindaco di Diyarbakir, degli ex sindaci o ex deputati, degli avvocati, dei difensori dei diritti dell’uomo, dei sindacalisti, delle femministe, dei funzionari, dei pensionati tra cui un militare, dei semplici militanti. Donne o uomini, giovani od anziani, gli accusati sono delle cittadine e dei cittadini che si sono impegnati per il riconoscimento dei diritti del popolo kurdo e l’affermazione della sua identità culturale.

History destroyed in Sur: Concrete houses are sold for 1 million TL

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KURDISTAN SENZA TREGUA

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Torna sulle prime pagine dei giornali il conflitto kurdo-turco. I 26 (o 24 a seconda delle fonti) militari turchi morti in una serie di attacchi simultanei sferrati dai guerriglieri del PKK contro diversi obiettivi delle forze di sicurezza nella zona di Hakkari hanno fatto gridare a una nuova recrudescenza del conflitto. In realtà la guerra non è mai cessata, le operazioni dell’esercito turco non sono mai diminuite. Anzi, da agosto si susseguono bombardamenti in tutta la zona al confine con Iraq e Iran e spesso e volentieri gli F-16 turchi sono entrati nel Kurdistan iracheno colpendo non tanto o non solo le basi del PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) ma soprattutto villaggi facendo molte vittime civili di cui nessuno parla.

Gli attacchi di ieri hanno suscitato reazioni molto forti, comprensibilmente. A parte il presidente della repubblica, l’islamico Abdullah Gul, che ha promesso “vendetta” e altro sangue, è stato il BDP (Partito della Pace e Democrazia), cioè il partito dei kurdi a fare la prima dichiarazione. “Basta – si legge nel comunicato – con la guerra. E’ tempo che le armi tacciano e si realizzino le condizioni per favorire la pace”. Parole che il BDP va ripetendo da anni ormai. In questo sostenuto dal PKK che (è bene ricordarlo) ha osservato un cessate il fuoco unilaterale fino al 15 giugno di quest’anno. Cioè fino a dopo le elezioni politiche che hanno visto kurdi e sinistra turca eleggere ben 36 deputati al parlamento turco. Quello che è successo dopo questo risultato serve a contestualizzare anche l’attacco di ieri, al quale i turchi hanno risposto con una nuova offensiva aerea in nord Iraq.

Uno dei 36 deputati, Hatip Dicle (in carcere), è stato privato del suo mandato per un ‘reato’ (lui che era già stato deputato con Leyla Zana e aveva già fatto 10 anni di carcere) di natura ‘terroristica’. Cinque deputati sono attualmente in carcere. Al giuramento, dopo un boicottaggio durato tre mesi e mezzo, si sono presentati in 30. Da marzo a oggi sono finiti in carcere qualcosa come ottomila tra amministratori locali kurdi, attivisti per i diritti umani, militanti del BDP con l’accusa di essere in qualche modo legati al PKK. Dal 2009 (anno della vittoria dei kurdi alle amministrative) sono sotto processo oltre quattromila politici kurdi. Dal 27 luglio il presidente del PKK Abdullah Ocalan (in carcere dal 1999 sull’isola di Imrali) non può vedere i suoi avvocati. Un divieto imposto dopo che per mesi uomini del premier Recep Tayyip Erdogan hanno incontrato il leader kurdo per concordare “protocolli di pace” poi gettati nel cassetto.

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